Untitled . (BLM), 2020
Untitled . (BLM), 2020

L’immagine comunicata

2020

 

Lavoro utilizzando diversi media, da oltre un decennio sono impegnato nel tentativo di creare le condizioni per destabilizzare l’immagine e la sua rappresentazione. Mi interessa soprattutto oppormi, come posso, all’inquinamento da sovrabbondanza di immagini che subiamo quotidianamente e che ci rende indifesi di fronte al dominio della loro subdola “comunicazione”. Quest’ultima, passando dalle parole alle immagini, ha trovato nelle seconde la sua ingannevole giustificazione.

Il mio approccio alla produzione di nuove immagini è difatti conflittuale nella misura in cui si traduce nel continuo misurarmi con la necessità di concepire nuovi archetipi visivi. Dunque, se per destabilizzare la lettura di un’immagine, ove questo sia possibile, è necessario minarne le fondamenta, per misurarne la necessità è utile rendere visibile la precipitazione della stessa in un corto circuito di senso. Credo che la crisi della produzione orale e concettuale dei nostri giorni, sommersa dalla straripante abbondanza del linguaggio per immagini, sia da addebitare alla dilagante riduzione a pornografia comunicativa di quest’ultimo.

Sono consapevole che questo tipo di opposizione può rappresentare, agli occhi di molti, una predisposizione a lottare in modo inefficace e utopico, ma credo anche che la ricerca artistica abbia il ruolo di produrre nuova resistenza, che per quanto minima essa possa apparire, può divenire una preziosa riserva di contenuto da opporre all’egemonia spesso incontrastata della “comunicazione”.

(P.B.)

 

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Il Museo Sospeso - L'arresto/L'eccitante

2010

 

Ho immaginato un lavoro che parlasse direttamente al Museo all’Aperto, una riflessione schietta sull’arresto di una delle esperienze più eccitanti del piccolo panorama dell’arte contemporanea del Molise. Avevo inizialmente solo un’idea vaga. Tracciare sulle pareti del vecchio fondaco l’intollerabile sospensione di un progetto maturo e tra i più fecondi del Mezzogiorno d’Italia.

Un’esperienza nata e prodotta in una terra che si dimostra ogni giorno che passa più inospitale all’arte e forse per questo più adatta, nonostante l’intollerabile negligenza di decisori politici incapaci di guardare al Molise come opportunità collettiva, piuttosto che all’orto da coltivare in solitudine. 

Ma non poteva bastare, non riuscivo ad abituarmi all’idea di quelle pareti senza vie di fuga. Mi sono allora affidato all’I KING - il libro dei mutamenti, per cercare una possibile risposta che, seppur sepolta nella mia testa, aveva bisogno di essere ricondotta agli angoli della bocca. Eccola, sovrastata dal monte e sollecitata dal tuono, la traccia, si propone quale possibile alimentazione per il futuro di Kalenarte.

L’opera installata alla base del la Torre dell’Orologio a Casacalenda è una ferita che sanguina e che il trascorrere del tempo alimenta. Il Museo Sospeso, in fondo, è la città che fatica a recuperare il proprio respiro naturale.

(P.B.)

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Note per la mostra Viagem

Itatiba, Brasile

2010

 

Il viaggio ci racconta. E’ un itinerario di conoscenza. Intimo. Una pratica che riguarda la memoria dei luoghi, ma anche l'esperienza individuale e l'auspicabile proiezione verso gli altri. Insomma, qualcosa che riguarda l'uomo ed il suo pensiero. L'uomo che incontra l'altro e attraversa se stesso. Il viaggio è tutto questo, immaginazione, pensiero, conoscenza, esperienza diretta e soprattutto, cosa che oggi è assolutamente in disgrazia, condivisione.

Il mio lavoro non segue una linea preordinata, una rotta ben definita, fa invece affidamento sulla casualità degli eventi o delle intuizioni. Utilizzo di volta in volta i materiali che credo siano i più adatti ad assecondare i pensieri. Lavoro sulle tracce di quello che penso sia utile alla prosecuzione della ricerca che inseguo anche per molto tempo. Semplifico, sto fermo a volte per settimane, sono convinto che le intuizioni debbano maturare e resistere al logoramento del tempo per dimostrarsi solide, per resistere innanzitutto al mio giudizio e alla possibilità di farmene carico. Il mio lavoro ha sempre un carattere politico, inteso nel senso più intimo del termine, anche quando è rivolto all’introspezione mi dispongo all’ascolto delle potenzialità residue d’immaginare il futuro.

Elegia del Viaggio.

Il tempo è fermo, è immobile. Così il viaggio, in fondo, non è altro che un soddisfare l’ansia dell’attesa. Percorrere le distanze è come immergere la mano in uno specchio d’acqua, in entrambi i casi si è sopraffatti dal piacere dell’ignoto, dell’assenza (la partenza) e del ricordo (l’arrivo).

(P.B.)

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Polaroid

2005

@ltromolise Magazine / anno III - n° 5/6 - giugno/luglio (P. B.)

 

Ho sempre pensato che le immagini avessero una vita propria, indipendente dal momento e dal contesto in cui sono venute alla luce. Proprie relazioni con il reale e con i pensieri degli uomini, indipendentemente dalle intenzioni dell’autore. Questo, ovviamente, non esclude una lettura semantica, ha piuttosto attinenze con il mondo dell’arte ed in particolar modo con l’opera d’arte.

Sapevo che un giorno o l’altro avrei scritto qualcosa per tentare di dare corpo ad una interpretazione di questa scialba ma a mio avviso seducente fotografia. Un tentativo di ragionare sulle relazioni che questa intreccia con il vissuto e con il ricordo. Sondare le potenzialità degli indizi che questa immagine contiene mi consente di completare un itinerario che ha sicuramente stretti rapporti con quello che penso oggi dell’arte e che mi ha interessato negli ultimi lavori.

Quando vediamo il mondo in modo diretto, tutto ci appartiene, ci minacciano i suoni e i colori, gli oggetti ci parlano e ci trasmettono il passare del tempo. E’ la storia dei segni che si trasformano. Sono oggetti inanimati, consumati dalle mani ma carichi di sguardi, e che nonostante tutto ancora li contengono.

Questa polaroid mi fa pensare alle onde morbide del tessuto della camicia, che accompagnano la melodia che riempie la stanza, la musica si muove nell’aria e spegne i colori, rimbalza sulle mura spoglie ed il silenzio è un ricordo lontano.

Mi vengono in mente alcuni versi che difficilmente sono in relazione con l’immagine riprodotta ma il suono delle parole e i tempi della prosa ne ritmano bene la luce agghiacciante:

A volte vedo / solo bare a vela salpare con pallidi defunti, con donne dalle trecce morte, / con panettieri bianchi come angeli, / con fanciulle assorte spose di notai, / bare che salgono il fiume verticale dei morti, / il fiume livido, / in su con le vele gonfiate dal suono della morte, / gonfiate dal suono silenzioso della morte. / La morte arriva a risuonare / come una scarpa senza piede, un vestito senza uomo.

(da Solo la morte, Pablo Neruda)

Lo sguardo ebete, compiaciuto, esprime il corpo abbandonato sul divano, il corpo in basso, insegue la musica più in alto ed i volti storditi tutt’intorno. La musica s’impone e copre i respiri e le parole, ed i segni su di me che non posso alzarmi. Non voglio alzarmi.

Quando vediamo il mondo in modo diretto, tutto ci appare carico di elettricità, ne cogliamo quasi i bagliori improvvisi tra le particelle, nell’aria.

Ha l’aspetto dello stereotipo del ricordo, qualcuno che non c’è più, a cui dedicare una narrazione dura che ne contrasti l’inquietante calma apparente.

“Dio voglia che io non debba morire in un ospedale! Fatemi morire in qualche equivoco bistrò, un coltello nel fegato, il cranio spaccato da una bottiglia di birra, un proiettile di pistola nella colonna vertebrale, le testa negli sputi e sangue e birra o mezzo sbattuto in un pisciatoio così che il mio ultimo bagliore di coscienza e l’aspro odore ammoniacale della piscia … mi ricordo in Perù …“ 

(da Interzona, W. Burroughs,)

Quando vediamo il mondo in modo diretto, tutto è lì e sembra impossibile che quando voltiamo lo sguardo rimanga immobile. La sedia, il tavolo ed il resto. Sembra improbabile che quando volgiamo lo sguardo altrove le cose rimangano al loro posto. In fondo è verosimilmente così che avviene ma non ne abbiamo le prove, ci accontentiamo degli indizi.

Uno scatto veloce, una Polaroid, in fondo, è una Polaroid.

Un asse da stiro, pile di videocassette, panni da stirare, una chitarra ed il fumo.

“Le voci irrompono dentro come leoni in fiamme” (W.B.).

I piedi sono ad una distanza siderale dalla testa, le scarpe, appaiono addirittura di un altro.

La notte inghiottirà il torpore di queste ore e ci restituirà la freschezza del mattino con un grande, tenace, invincibile dolore alla testa.

Quando vediamo il mondo in modo diretto, in fondo vediamo noi stessi viverlo, ci riconosciamo di spalle e ci osserviamo mentre agiamo, mentre interagiamo con quello che ci circonda, che ci coinvolge e ci inonda dei colori e delle luci. Non possiamo smettere di essere noi, possiamo però sentire il nostro vivere nella quotidianità dei gesti e nell’affollarsi inquieto dei pensieri.

Possiamo riflettere come in uno specchio d’acqua.

(P.B.)

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Equilibri precari

2005

@latromolise Magazine / anno III - n° 4 - aprile/maggio (P. B.)

 

L’itinerario della ricerca di un artista è composto da una geografia ‘di fatto’, sperimentale e intima, che nessuna mappa potrà mai illustrare, un percorso che sfugge ai sistemi di segni convenzionali e codici formali acquisiti. 

L’itinerario in questione è un tracciato incerto dalle evoluzioni irregolari, in continua trasformazione come spesso si evince dalle dinamiche evolutive dell’avanguardia e dalle sue proiezioni più imprevedibili. Un luogo, un evento o una traccia qualsiasi possono determinare una improvvisa inversione della rotta. Uno scarto laterale che fa dell’arte quella magica follia necessaria.

L’artista inscrive irregolarmente la sua poetica in un paesaggio non necessariamente omogeneo, forse riconoscibile, ma dalle sfumature spesso contraddittorie e con evoluzioni originate da conflitti e tensioni auto-prodotti, percepiti ed analizzati attraverso la propria sensibilità.

In questo particolare scenario gli artisti riescono spesso, molto più degli addetti a complicate indagini analitiche o statistiche, a introdurre nuove capacità di orientamento, a produrre nuove visioni, a volte a reinventare le relazioni tra soggetti, identità e luoghi. Contribuendo in modo inequivocabile a rendere visibile ciò che è appena percettibile.

Quante volte mi hanno chiesto di parlare dei miei lavori, dei significati e soprattutto del percorso di quel particolare progetto o di quella singola opera. Spesso non ho trovato le parole adatte, in qualche caso ho confessato di non averle cercate, proprio perché convinto dal fatto che non tutti i miei lavori abbiano un rapporto con la parola.

Potrei provare forse a descrivere il mio lavoro in questo modo:

- Sono nato a Gorizia l’undici settembre del 1959, mio padre, brigadiere della Guardia di Finanza prestava servizio al confine con la Jugoslavia quando mia madre mi ha partorito in ospedale.

Una fotografia in bianco e nero, che mi è rimasta sempre impressa, ritraeva una moto all’angolo del palazzo di fronte all’ospedale di Gorizia, proprio sotto la finestra da cui si affacciava la stanza dove, forse a tre anni, ero ricoverato per problemi intestinali (probabilmente i primi segni della celiachia), era la Guzzi grigio-verde di mio padre che all’epoca non poteva ancora permettersi un’automobile. Era lì, nel cono d’ombra del palazzo, ed io ho sempre immaginato/ricordato di guardarla dall’alto, dal vetro della camera d’ospedale.

Tante volte ho visto quella scena e ho sempre creduto/saputo di averla vissuta. Più tardi mi hanno detto che ogni volta che mio padre veniva in ospedale a trovarmi, arrivava con la moto, e che qualcuno (mia madre?) mi sollevava in alto a salutarlo dai venti metri d’altezza da dov’ero affacciato.

Ricordo la distanza, la vertigine dell’altezza, mio padre osservato così, dall’alto, mentre scende dalla moto e la parcheggia di sotto, all’angolo del palazzo e guarda in alto, e saluta con la mano e butta baci in cielo, verso di me. Non so cos’è l’arte, ma so che questa immagine ha sicuramente qualcosa a che vedere con la mia scelta successiva.

Spesso nelle lunghe giornate primaverili di qualche anno più tardi, verso i sei anni, passavo i pomeriggi da solo per strada, nella Larino della metà degli anni Sessanta. Quando c’era vento ero eccitatissimo e correvo giù in strada a “volare”. Dietro il palazzo della Polizia Stradale, proprio al centro tra Larino vecchia e Larino nuova c’era una discesa ripida, credo di una trentina di metri in tutto. Ecco, lì mi distendevo sulla massa d’aria che proveniva in salita dalla strada, e stavo così, coricato sul vento per alcuni minuti fino a quando avvertivo che la spinta si esauriva, ma sapevo di dover solo aspettare la prossima ondata, il prossimo soffio che mi avrebbe riportato in “volo”. - 

Tante volte mi hanno chiesto cosa significasse per me fare arte, non credo di aver mai saputo rispondere con parole adeguate. Qualche volta ho balbettato qualcosa attorno alla necessità di esprimersi, altre volte ho argomentato confusamente attorno alla malattia di fare arte, altre ancora, più giovane, ho interpretato spontaneamente quello che avevo sognato sui libri.

Oggi penso che anche quel volo solitario abbia qualcosa in comune con l’arte, ed è nel tentativo di ricordare quel rimanere sospeso, o quel guardare dall’alto di una vertigine che procedo con lentezza, ma altrettanto eccitato, verso il senso di sospensione e d’instabilità che l’arte mi procura.

(P.B.)

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Cut-up d'identità illusorie

2005

Il bene comune / anno V - n° 1 - maggio (P. B.)

 

Perché si rimane o si torna in Molise?

Molti, come me a vent’anni, pensavano di scappare via, alcuni lo hanno fatto, qualcuno non è più tornato.

Oggi sono impegnato su una serie di lavori che ho intitolato “Tentativi di ricordare”. Impiego settimane, a volte mesi per ricostruire un ricordo. Uno autentico. Per ripartire lontano dai disegni che mi riconducono sempre e comunque in un luogo: il Molise.

Non c’è in questo la necessità d’individuare un’identità d’appartenenza, non sono mai stato interessato ad identificarmi con un luogo, per me il Molise è come la neve, la campagna, la piazza, la strada e le persone che incontro. Molise è un vuoto che ho dentro, che si colma solo con il lavoro, o con la ricerca di indizi che mi ricordano i paesaggi di un’infanzia spezzata tra il mare di Trieste e la campagna di Larino.

Dove vai? Perché vai?, questa frase di Alighiero Boetti mi lascia sempre a metà tra la scrupolosa preparazione alla partenza e la sensazione dell’insensatezza del viaggio come ricerca.

In giro per la città conosci quel che è quotidiano, incroci persone, stabilisci rapporti personali, comunichi, ti intendi con quello che ti circonda. Fai la spesa, lavori. Prendi la posta dalla cassetta postale, osservi la fila al bancomat o le pubblicità dei cinema. Compri quotidiani e riviste locali. Cose così. Una versione destrutturata delle complicate armonie che avevi affastellato da giovane. Ma Boetti non l’ho mai conosciuto e adesso viaggio molto meno, lavoro di più sulla geografia interiore, quindi soprattutto ricordo, gli odori, le immagini e trovo, allo stesso tempo, che sia impropriamente artificioso parlare con troppa enfasi di «altro», o di «alterità». 

Potrei fare un lavoro sullo splendore e la caducità delle foreste, sulla vulnerabilità sociale della vita dei quartieri nelle metropoli, sull'«altrove» geopolitico, culturale più vertiginoso. Ma è chiaro che vivi con i tuoi occhi, pezzo dopo pezzo, che lavori [anche] su te, su qualcosa che ti accomuna al luogo, soprattutto è chiaro che non è chiaro chi sia questo «te», il nome proprio, l'«italiano», l'«occidentale», il «viaggiatore», il «molisano». Identità parziali, illusorie.

Potrei dire, in definitiva, che viaggio ad una velocità limitata, meglio, cerco di stabilire residenze provvisorie e parziali in luoghi del tutto mentali, che sfidano i miei adattamenti culturali e che mi consentono una crescita più naturale. Mi trasformo, accolgo cose importanti del posto che vivo, dei volti che incontro, delle lingue e dei dialetti che ascolto.

In età più giovane, inconsapevolmente stavamo già migrando, quando i desideri, le aspettative, le emozioni ci attraversavano e ci superavano per strada.

Perché si rimane o si torna in Molise?

Un domanda inutile, che presuppone risposte che non portano in nessun posto.

(P.B.)

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Lo sguardo traverso

2005

@ltromolise Magazine / anno III - n° 2 - febbraio (P. B.)

 

Qual è il punto di vista degli artisti rispetto alla realtà alterata, quella dimensione che spesso, molti identificano come una forma di follia? Qual è il limite della trasgressione del pensiero che viene ancora tollerato da chi traccia i termini della propria “normalità” e impone agli altri invalicabili confini?

L’arte, in fondo, ha sempre indagato la realtà con uno sguardo traverso, facendo della propria inclinazione al dissenso rispetto alle regole una vera e propria dimensione politica. Nel tempo, si è preoccupata d’intrecciare e coltivare in ogni sua forma d’espressione una severa discussione sul concetto di normalità.

Gli artisti hanno spesso lavorato sulle condizioni psicologicamente sfavorevoli, sulla reiterazione del gesto, sull’ossessione per le cose e, in oltre, hanno indagato sul disagio quotidiano del vivere il luogo comune.

Nessuno può immaginare di contenere la follia in un’unica definizione, o in un concetto dalle sfumature addomesticabili, o addirittura tracciare una linea di demarcazione da adottare nel vano tentativo di approdare ad un criterio durevole ed unanimemente riconosciuto.

Molti gesti del passato e molte opere contemporanee prendono spunto dall’eventuale ambiguità dei significati, o dalla precarietà della struttura del pensiero che li muove. Lo sguardo dell’artista attraversa la realtà con la medesima disinvoltura di quello del bambino, si disinteressa delle ripercussioni provenienti dal giudizio esterno e si concentra sull’utopia dell’opera-gioco che egli non considera illusione irraggiungibile, ma necessaria poetica del reale.

Ci si occupa di follia e quasi mai si sa precisamente di cosa si parla, ce ne interessiamo evidentemente perché in quel territorio crediamo di intravedere ampi margini di dissenso, di libertà incondizionata. Ma l’arte mira a destabilizzare le certezze e pone dubbi spesso sgradevoli, quindi combatte il luogo comune “arte-follia”, che è per lo più utilizzato per ricondurre la ricerca artistica in un recinto più facilmente controllabile, un luogo che, all’apparenza, ha le sembianze di “zona franca” ma che, nell’ambigua considerazione generale è anche il luogo della degenerazione.

L’artista s’interessa, invece, della distinzione tra coscienza e non coscienza, si occupa di quella creatività istintiva che sia in ogni caso controllata da un progetto consapevole. In fondo l’arte si occupa di soggettività, di passioni e d’eccessi nella consuetudine, e non degli stereotipi, spesso romantici, come quello dell’artista posseduto da uno squilibrio psichico e creativo, dove “creatività” e spesso sinonimo di “follia”.

“E’ sin troppo ovvio, credo, ormai, che il rapporto genio-pazzia non offre che una ben scarsa attendibilità, non solo ma che le “stigmate” dell’artista sono ben diverse da quelle del malato mentale (a prescindere dai pochi casi di artisti divenuti in un secondo tempo psicopazienti). E’ invece indubbiamente interessante osservare come, persino oggi che pittura e scultura hanno perduto buona parte della loro funzione figurativa e rappresentativa, queste forme espressive continuano ad essere preziose tanto che le indagini diagnostiche come questo bisogno dell’uomo di proiettare il suo “io profondo” attraverso forme espressive (artistiche o para-artistiche che siano) in maniera catartica e liberatoria convalidi, ad absurdum, la necessarietà, tuttora presente per l’equilibrio, o il re-equilibrio psichico dell’uomo, d’un’estrinsecazione creativa attraverso i canali misteriosi e comunque non istituzionalizzabili dell’arte.” (Gillo Dorfles – Le oscillazioni del gusto, Einaudi – Parte I - Cap. XIII – p. 69).

In fine, dunque, il bisogno di proiettarsi nel proprio “io” attraverso l’arte è ancora oggi forte e possibile, è in fondo una necessità che non segue i canali ovvi del “sistema dell’arte”, piuttosto tende a confondersi con esso ed a scompaginarlo, o addirittura, a nascondersi nelle “zone” di devianza, luoghi marginali rispetto alle “normalità” digerite e consentite dal nostro tempo.

(P.B.)

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Pensiero e forma

1997

Estratto dal catalogo della mostra “Pensiero e forma”, Roma, Campobasso, Milano (P. B.)

 

Nel mio lavoro tendo sempre a far dimenticare che si ha a che fare con della pittura, non perché trovi la pittura inadeguata come mezzo d’espressione, ma semplicemente perché amo il disagio che scaturisce dal non essere ancorato alle certezze della tecnica e della memoria.

La mia ricerca è più vicina al caos della pittura che al suo ordine.

Anni fa teorizzai la “casualità controllata” (una sorta di gestualità con minimo controllo) che nei miei quadri o installazioni ha bisogno di sacche d’aria e di vuoto.

Ogni opera, come sostengono Deleuze e Guattari in “Che cos’è la filosofia”, deve conservare il vuoto e conservando il vuoto conservarsi.

Non faccio quasi mai progetti per le opere che realizzo, al massimo uno schizzo appena accennato e anche questo di rado. Porto in alcuni casi l’idea dell’opera nella testa anche per diversi giorni, come un parto, come nell’attesa di essere pronto.

Nel lavoro che eseguo c’è sempre una parte mentale e poi una di esecuzione: quello che ricerco viene semplicemente fuori attraverso la riduzione all’essenziale dell’idea originaria.

Anche se non sembrerebbe il mio è un lavoro metodico dove la ricerca e il gioco hanno la stessa importanza.

Ho sempre l’idea di un’opera nella testa che a volte può modificarsi fino al punto da non assomigliare più all’idea iniziale, questo è quello che io chiamo “casualità controllata” dove il controllo è molto labile e l’idea è libera di abortire.

(P.B.)

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articoli e testi pubblicati: 

• Fuoriluogo – un avamposto spirituale nel vuoto – catalogo della mostra “Fuoriluogo 3” - luglio 1998

• Il Molise e l’Arte invisibile - Nuovo Oggi Molise – 18 giugno 2000; 

• La Biennale dell’Incisione, le lacune della prima edizione - Nuovo Oggi Molise – luglio 2000; 

• Due sezioni, due mondi - Nuovo Oggi Molise – 31 agosto 2000; 

• Il paesaggio digitale - Nuovo Oggi Molise – 3 dicembre 2000; 

• Un canto nel vuoto assoluto della memoria, dicembre 2000; 

• L’arte ai margini - Nuovo Oggi Molise – 31 dicembre 2000; 

• All’@ttenzione del Poeta - Nuovo Oggi Molise – 14 gennaio 2001; 

• Disumano, troppo disumano - Nuovo Oggi Molise – 4 febbraio 2001; 

• Questioni d’identità - Nuovo Oggi Molise – 4 marzo 2001;

• La forma del pensiero - Nuovo Oggi Molise – 1 aprile 2001; 

• Labirinti - Nuovo Oggi Molise – 6 maggio 2001; 

• L’arte della sovversione - Nuovo Oggi Molise – 3 giugno 2001; 

• Angeli & Diavoli - Nuovo Oggi Molise – 17 giugno 2001; 

• Confluenze, arte a confronto - Nuovo Oggi Molise – 24 giugno 2001; 

• La minoranza fastidiosa - Nuovo Oggi Molise – 1 luglio 2001; 

• Allucinazione retorica - Nuovo Oggi Molise – 5 agosto 2001; 

• 56 cartoline d’autore - Nuovo Oggi Molise – 12 agosto 2001; 

• Fuoriluogo 6: ai confini del sogno - Nuovo Oggi Molise – 26 agosto 2001; 

• L’Angelo ribelle e l’ex Assessore - Nuovo Oggi Molise – 8 settembre 2001; 

• Molise mon amour - Nuovo Oggi Molise – 6 ottobre 2001; 

• L’arte decentrata, catalogo della mostra “Fuoriluogo 6” – novembre 2001; 

• Dopo l’uomo - Nuovo Oggi Molise – 4 novembre 2001; 

• Casacalenda progetta il proprio futuro: il “Museo all’Aperto” - Nuovo Oggi Molise – 2 dicembre 2001; 

• Il giardino dei pensieri - Nuovo Oggi Molise – 6 gennaio 2002; 

• Il corpo dell’arte - Nuovo Oggi Molise – 3 febbraio 2002; 

• Colloquio con l’ombra - Nuovo Oggi Molise – 3 marzo 2002; 

• Per Franco Libertucci - Nuovo Oggi Molise – 17 marzo 2002; 

• Il prezioso labirinto - Nuovo Oggi Molise – 7 aprile 2002; 

• L’arte… dell’invisibile - Nuovo Oggi Molise – maggio 2002; 

• Arte e comunicazione - Nuovo Oggi Molise – 2 giugno 2002; 

• Il futuro modificato, Nuovo Oggi Molise – 7 luglio 2002; 

• Incisione contemporanea – Il ritorno della Biennale - Nuovo Oggi Molise – 4 agosto 2002; 

• Arte e migrazioni, - Nuovo Oggi Molise – 6 ottobre 2002; 

• Guerre di spade e d’illusioni – catalogo della mostra “Fuoriluogo 7 – Guerre di spade e d’illusioni” – novembre 2002; 

• Fuoriluogo 8 – catalogo della mostra “Fuoriluogo 8 – Afritalia” - Edizioni Limiti inchiusi, Campobasso – settembre 2003; 

• Controcorrente – Testa o croce? @ltroMolise Magazine – Anno II n. 1 – dicembre 2003/gennaio 2004; 

• L’incubo ad aria condizionata - @ltroMolise Magazine – Anno II n. 2 – febbraio 2004; 

• I Kamikaze dell’anima - @ltroMolise Magazine – Anno II n. 3 – marzo 2004; 

• L’ironia dell’arte subalterna - @ltroMolise Magazine – Anno II n. 4 – aprile 2004; 

• Bagliori d’Africa - @ltroMolise Magazine – Anno II n. 5 – maggio 2004; 

• Piovono pietre sul Molise inerme - @ltroMolise Magazine – Anno II n. 6 – giugno/luglio 2004; 

• La realtà parallela - @ltroMolise Magazine – Anno II n. 7/8 - luglio/agosto 2004; 

• Metafore del quotidiano - @ltroMolise Magazine – Anno II n. 9 – settembre 2004; 

• Piccola biblioteca ragionata dell’arte molisana - @ltroMolise Magazine – Anno II n. 10 – ottobre 2004;

• Una moderna babele, catalogo della mostra “Fuoriluogo 9 – Una moderna babele” – Edizioni Limiti inchiusi, Campobasso – ottobre 2004;  

• Il Molise perde il treno della Biennale - @ltroMolise Magazine – Anno II n. 11 – novembre 2004; 

• Il mio amico Lino Mastropaolo - @ltroMolise Magazine – Anno III n. 1 – dicembre 2004/gennaio 2005; 

• Lo sguardo traverso - @ltroMolise Magazine – Anno III n. 2 – febbraio 2005; 

• Ordine e disordine - @ltroMolise Magazine – Anno III n. 3 – marzo/aprile 2005; 

• Equilibri precari - @ltroMolise Magazine – Anno III n. 4 – aprile/maggio 2005; 

• Polaroid - @ltroMolise Magazine – Anno III n. 5/6 – giugno/luglio 2005; 

• Pratiche impolitiche -@ltroMolise Magazine – Anno III n. 7/8 – agosto/settembre 2005; 

• Dell’utilità dell’arte - @ltroMolise Magazine – Anno III n. 9 – settembre/ottobre 2005; 

• Il dissenso della pittura - @ltroMolise Magazine – Anno III n. 10 – ottobre/novembre 2005; 

• Fuoriluogo - immagini e narrazioni sperimentali per il Molise contemporaneo – catalogo della mostra “Fuoriluogo 10 – Il corpo elettrico” - Edizioni Limiti

  inchiusi, Campobasso – settembre 2005; 

• L’identità emozionale - @ltroMolise Magazine – Anno IV n. 1 – dicembre 2005/gennaio 2006; 

• Il tempo inferiore - @ltroMolise Magazine – Anno IV n. 2 – febbraio/marzo 2006; 

• Nessun eroe, qualche barbaro - @ltroMolise Magazine – Anno IV n. 3 – marzo/aprile 2006; 

• Un sogno relitto - @ltroMolise Magazine – Anno IV n. 4/5 – maggio/giugno 2006; 

• I love Molise - @ltroMolise Magazine – Anno IV n. 6 – giugno/luglio 2006; 

• Da che parte stiamo? - @ltroMolise Magazine – Anno V n. 1 – dicembre 2006/gennaio 2007; 

• Ritratti a più voci - @ltroMolise Magazine – Anno V n. 7/8 – gennaio 2007; 

• Fuoriluogo 12 - ovvero l’urgenza delle scelte – catalogo della mostra “Fuoriluogo 12 – Urgenza della città” - Edizioni Limiti inchiusi, Campobasso – dic. 2007; 

• ApertoMolise – catalogo della mostra “Fuoriluogo 13 – ApertoMolise” – Edizioni Limiti inchiusi, Campobasso – dicembre 2008; 

• Dicotomie al presente – catalogo della mostra “Fuoriluogo 14 – Interrelazionale” – Edizioni Limiti inchiusi, Campobasso – novembre 2009; 

• Rewind – catalogo della mostra “Fuoriluogo 15 – Una regressione motivata” – Edizioni Limiti inchiusi, Campobasso - febbraio 2011; 

• Vis a Vis ovvero la marginalità al centro – catalogo dell’evento “Vis a Vis – Artists in Residence Project” – dicembre 2012; 

• Fuoriluogo e il dovere della prossimità – catalogo dell’evento “fuoriluogo 16 – Vis a Vis” – Edizioni Limiti inchiusi, Campobasso – dicembre 2013; 

• Naufragi a due passi dal mare – catalogo “Le donazioni 2013 – Galleria Civica d’Arte Contemporanea Franco Libertucci” – Palladino Editore, Campobasso –

  aprile 2014; 

• Piattaforma – Il progetto Fuoriluogo – catalogo “Vis a Vis - Fuoriluogo 17” – Edizioni Limiti inchiusi, Campobasso – novembre 2014; 

• L'attraversamento linguistico e la genesi di Occidente – catalogo “Occidente” – Edizioni Limiti inchiusi, Campobasso – giugno 2015; 

• Il Km zero dell'arte contemporanea – catalogo “Vis a Vis - Fuoriluogo 18” – Edizioni Limiti inchiusi, Limosano (CB) – ottobre 2015; 

• L'artista vagabondo - catalogo "Vis à Vis Flâneur" - Satoshi Hirose - Edizioni Limiti inchiusi, Limosano (CB) - settembre 2016;

• Senza la comunità non esiste il racconto - catalogo "Vis à Vis - Fuoriluogo 19" - Edizioni Limiti inchiusi, Limosano (CB) - dicembre 2016;

• Limiti inchiusi - Intervista con Paolo Borrelli e Fausto Colavecchia di Matteo Innocenti - catalogo "Vis à Vis Fuoriluogo 20" - Edizione Limiti inchiusi, Limosano (CB) - gennaio 2018;

• Arte per luoghi sospesi - catalogo "Vis à Vis Fuoriluogo 21" - Edizione Limiti inchiusi, Limosano (CB) - ottobre 2018;

• Pensarsi come comunità - catalogo "Vis à Vis Fuoriluogo 22" - Edizione Limiti inchiusi, Limosano (CB) - novembre 2019;

• catalogo "Vis à Vis Fuoriluogo 23" - Edizione Limiti inchiusi, Limosano (CB) - novembre 2020;

• Ridefinire immaginari - catalogo "Vis à Vis Fuoriluogo 24" - Edizione Limiti inchiusi, Limosano (CB) - novembre 2021;

• Paesi in estinzione - catalogo "Vis à Vis Fuoriluogo 25" - Edizione Limiti inchiusi, Limosano (CB) - novembre 2022;

• Contro la retorica dei borghi "Vis à Vis Fuoriluogo 26" - Edizione Limiti inchiusi, Limosano (CB) - novembre 2023;