Senza temere il vento e la vertigine, 2011
Senza temere il vento e la vertigine, 2011

Invasori invasi

2006

Invasori invasi di Paolo Borrelli e Dante Gentile Lorusso

Lorenzo Canova, dal testo per la mostra “Invasori invasi”, Roma

La mostra, sin dal suo titolo, vuole riflettere in modo simbolico sulle trasformazioni della contemporaneità, sulla dialettica e sul “ribaltamento” che vede spesso le culture dei paesi invasori completamente stravolte e mutate dal contatto con le culture “invase”, sulla dicotomia tra le possenti metamorfosi indotte dalle energie “globalizzanti” e un sentimento personale di lenta implosione.

Così i due artisti, con la pittura, i rilievi metallici e la fotografia, cercano un nuovo contatto con le proprie radici millenarie senza dimenticare i segnali di mutazione dei tempi, mostrando un’affinità concettuale che li lega attraverso assonanze poetiche basate su un comune senso del segno e simbolo, su un parallelo “sistema” emblematico dove la pittura si trasforma in un ambiguo ed eloquente processo comunicativo. Infatti, Borrelli e Lorusso uniscono similmente una componente iconica a tracce di un impianto costruttivo astratto, frammenti figurali a spazialità non oggettive, dando vita a dipinti dove l’immagine può rappresentare il pretesto per generare le trame di un tessuto pittorico sontuoso e ornamentale o dove l’astrazione riesce a superare i suoi confini per assumere una decisa connotazione metaforica o una solenne ieraticità araldica.

Borrelli nasconde così crudeltà segrete nella disposizione allargata ed “espansa” delle sue figure angeliche, nelle macchie e nei flussi cromatici che disegnano labirinti sfuggenti, nei meandri dove si annidano supplizi inesorabili e dove si possono celare i segreti indecifrabili di rituali arcaici; mentre Lorusso descrive luoghi attraversati dall’assenza o marchiati da un vuoto ineluttabile, territori ignoti dove sono rinchiusi enigmi archetipi, costruisce architetture pervase dal mistero e dal silenzio, evoca città abbandonate alla labile essenza del ricordo o impresse nel tessuto impalpabile del sogno.

 

Mariacristina Bastante, Altromolise Magazine, anno VI - n. 2 - aprile

In un’opera di Paolo Borrelli c’è la sagoma di una bambina che gioca con un cerchio: è ritagliata nell’alluminio, pare un’ombra metallica, quello che rimane di un’immagine che appartiene al passato. L’opera si chiama Senza temere il vento e la vertigine. Parrà strano, forse, legare la silhouette leggera della bimba, ad un titolo che non ammette repliche come Invasori Invasi, unione di due termini che già di per sé stride e non poco. Ci si chiede, per esempio, chi sia la vittima – se l’invasore o l’invaso – magari solo per fare un po’ d’ordine, in quel gioco delle parti non sempre individuabili che scandisce la realtà quotidiana.

Davanti alle opere di Paolo Borrelli (Gorizia, 1959; vive a Campobasso) e Dante Gentile Lorusso (Oratino, CB, 1957; vive a Toro, CB) - in mostra a Roma, nello spazio AOCF 58 – il dubbio che invaso ed invasore coincidano, come due facce della stessa medaglia diventa ipotesi fondata: così in un allestimento ben scandito nel parallelepipedo bianco della galleria, prende forma questa riflessione rarefatta sulla memoria e sul misterioso significato del ricordare. Che è in primo luogo un atto intimo, certamente, un prezioso tesoro personale, ma è pure un meccanismo universale, per conservare e tramandare. Su questo doppio registro ragionano quindi Borrelli e Lorusso, puntando il dito sul controverso processo di globalizzazione e sulla questione delicatissima della conservazione dell’identità culturale: ed ecco perché invasori ed invasi si trovano tutti sulla stessa – piuttosto instabile – barca. Di questa intricata matassa gli artisti offrono una visione poetica, dove simboli ed immagini spiazzanti vanno letti come un codice cifrato, non per una “deviazione” da enigmisti accaniti, ma perché la memoria ed il ricordo hanno percorsi tortuosi, analoghi, in qualche modo, a quelli del sogno.

Così Lorusso con una tecnica lenta che ben s’addice agli ingranaggi millenari della storia elabora un sistema di sedimentazioni, segni, intrecci, nodi: simili a frammenti a bassorilievo, queste tavole evocano gli scenari di civiltà sconosciute, di rituali antichissimi. Le corde che s’avvolgono e distendono con un andamento che è quasi ipnotico paiono alludere al tempo, alla sua percezione discontinua, al suo battito inesorabile. Ed è sulla scia di un battito istantaneo che s’insinua la riflessione di Borrelli che affida ad alcune immagini – come quella della bambina col cerchio e dell’uomo (un tuffatore?) che si libra nel vuoto – il compito di funzionare come detonatori, per risvegliare emozioni, ricordi, in flusso continuo in cui memoria, coscienza del tempo che fu, e inevitabilità del presagio si susseguono, senza soluzione di continuità. Simile ad una partitura antica, la doppia personale di Borrelli e Lorusso riesce dove è più difficile: da un lato conserva intatta la differenza tra i linguaggi e le scelte espressive dei due, dall’altro mantiene un’unità tematica che non è solo nominale. Sul filo di una riflessione complicata e profondamente sentita, che parla dell’eredità del passato e di quella del futuro.

 

ll tempo delle invasioni

Mariacristina Bastante, Il Bene comune, anno VI - n. 3 - marzo

 

Un titolo come Invasori Invasi può trarre in inganno. Evoca un immaginario di scontri efferati, di battaglie sanguinose: qualcosa a tinte fosche, per intenderci, invece ci si ritrova davanti ad un magistrale impaginato, giocato sui toni del grigio metallico, del bianco o di un blu glaciale. Le opere di Paolo Borrelli (Gorizia, 1959; vive a Campobasso) e Dante Gentile Lorusso (Oratino, CB, 1957; vive a Toro, CB), in mostra a Roma, nello spazio AOCF 58 paiono attraversate da un silenzio che è oltre la storia, come frammenti di un “tutto” dal significato ineffabile.

Si parla di globalizzazione, di confini abbattuti e di altri ancora da abbattere, ma si parla pure di proteggere le tradizioni, le molteplici identità culturali: in questo senso, quella di Borrelli e Lorusso appare come una preziosa riflessione, che oscilla tra dolente presa di coscienza del tempo che fu e vigorosa premonizione di quanto potrebbe essere, di quel che potrebbe accadere in un futuro lontano ma incombente. Alla sottile malinconia di alcune immagini – come la sagoma della bambina che gioca con il cerchio, “ritagliata” nel metallo da Borrelli - fa da contrappunto la forza arcaica dei segni, che s’intrecciano come corde, nei misteriosi rilievi tracciati da Lorusso. Il dialogo tra le opere somiglia ad un’invenzione a due voci, due parti perfettamente distinte e distinguibili, che pure s’intersecano, si sovrappongono, s’inseguono.

“Paolo Borrelli e Dante Gentile Lorusso vogliono dunque riflettere in modo simbolico sulle trasformazioni della contemporaneità, sulla dialettica di un’arte penetrata dal mondo della comunicazione che a sua volta riesce a conquistare e a travalicare le imposizioni dei media” scrive Lorenzo Canova nel testo che accompagna la doppia personale. “gli artisti, con la pittura, i rilievi metallici e la fotografia, cercano un nuovo contatto con le proprie radici millenarie senza dimenticare i segnali di mutazione dei tempi, mostrando un’affinità concettuale che li lega attraverso assonanze poetiche basate su un comune senso del segno e del simbolo, su un parallelo “sistema” emblematico dove la pittura si trasforma in un ambiguo ed eloquente processo di rielaborazione”. È interessante ribadire l’aspetto della commistione dei codici e dei linguaggi espressivi, che è cifra caratteristica – sia pur declinata con modalità differenti - di entrambi gli artisti. Da un lato Borrelli utilizza una sorta di poetica del frammento, dell’immagine estrapolata da suo contesto, che diventa elemento spiazzante e rivelatore, dall’altro Lorusso elabora un sistema di lente sedimentazioni, di segni essenziali, come tracce di un linguaggio indecifrabile, eppure carico di una forza e di un’energia perfettamente tangibili tra le pieghe e gli intrecci. Così la testa che sembra mozzata (per altro un efficace, spiazzante autoritratto), in una fotografia di Paolo Borrelli e le suggestive tavole di Dante Gentile Lorusso (disposte in una rigorosa, perfetta teoria) paiono raccontare, in una muta, ma serrata partitura, l’eterno passaggio del tempo. Ormai fuori dalla storia, ne osservano le geometrie segrete, i corsi, i flussi, i possibili ritorni: secondo un disegno occulto, che unisce immagini e forme, teste che rotolano e misteriosi percorsi di segni.