Nuvola, 2016
Nuvola, 2016

Nulla nell’arte è apolitico.

2016

Silvia Valente dal catalogo "Dreamers" realizzato in occasione della mostra personale presso la Galleria Sala 1 di Roma - Edizioni Sala 1 n. 127, Roma

Un fondale bianco e immacolato, privo di ogni possibile riferimento spaziale, accoglie una scena che, al contrario, è carica di rimandi temporali: siamo nell’Oggi. Un uomo, stanco e scalzo, si abbandona al riposo su una panchina, una qualunque, una di quelle che si trovano nei parchi pubblici sopravvissuta alla “moda” dei braccioli in ferro installati nel suo mezzo per impedire, appunto, alle persone di coricarcisi. Con l’immagine di questo passeggero “sognatore” (Invaded invaders, 2016) Borrelli ci introduce alla mostra, ci presenta i suoi lavori più recenti e ci immerge senza mezzi termini in un’atmosfera che non lascia spazio a libere interpretazioni. Dreamers è una mostra che affronta a viso aperto il tema dei migranti, la loro identità, è il racconto sfrontato di un’angoscia collettiva, la trasposizione figurata di quella marea umana che la retorica da telegiornale sembra aver impresso nella memoria condivisa. Pittura e installazione sono i medium stilistici scelti dall’artista per l’occasione: una serie di collages dipinti dalle trame solide e compatte si accompagnano alle composizioni tridimensionali che, a dispetto della loro natura, appaiono più fragili e precarie.

La storia dei migranti è, senza ombra di dubbio, la storia di quest’epoca, un racconto apparentemente nuovo che si alimenta di neologismi e locuzioni, di dibattiti e teorizzazioni, mascherando il canovaccio logoro e stantio di una cronaca politica ben nota alle pagine della storia moderna. Le masse di disperati in movimento, l’esodo dei popoli, il nomadismo forzato dalla guerra esistono oggi come esistevano ieri ma l’emergenza a cui si inneggia non è rappresentata dalla sola necessità di sopperire a situazioni di grave disagio “geografico”. La figura dell’esule è la maschera dietro cui l’uomo occidentale si sta celando, impaurito, angosciato e allarmato perché incapace di gestire una situazione che gli sta sfuggendo di mano. I “sognatori” di Borrelli incarnano questi sentimenti, rappresentano la debolezza e l’inconsistenza del nostro vivere fra verità storica e riverbero emotivo. “Ci ricordano ciò che preferiamo dimenticare: quanto la nostra vita sia soggiogata da forze potenti, globali, che rendono impotenti le scelte individuali, quelle stesse forze che lucrano disumane sulle divisioni”, dice Borrelli. Dreamers interpreta alla perfezione l’allarmismo dilagante e l’angoscia di questi tempi e le immagini scelte dall’artista nei suoi collages sembrano voler congelare questi stati d’animo nel tempo, cristallizzandoli in una nuova memoria. Le opere di Borrelli hanno una specifica funzione morale: scindere la passiva accettazione dell’azione politica dall’azione riflessiva, dalla reazione consapevole; l’arte non è estranea alla condizione umana, ne partecipa per sua stessa natura, offrendo traduzioni autentiche e partecipate della realtà. E’ ancora l’artista a suggerire una chiave di lettura: “I nuovi nomadi, oggi come ieri, sono l’avanguardia di un popolo che guarda ancora, nonostante tutto, al futuro. Sognatori che a differenza di noi, chiusi nelle nostre paure e ostaggi di un ambiguo benessere, trovano la forza di rimettere in gioco la propria vita e i propri affetti. Dreamers che nel sonno ingenuo si liberano dei mostri che li vorrebbero respinti o cancellati, si affrancano ad occhi chiusi dai nostri rabbiosi preconcetti, piantando le tende di un domani possibile in mezzo a noi”.

Borrelli è assolutamente consapevole delle proporzioni del dibattito e della varietà dei protagonisti coinvolti in questo quadro sociale ed è consapevole, ancor più, di quanto le sue opere rappresentino un tentativo (analogo a quello di molti artisti contemporanei) di offrire al pubblico un’immagine differente di questo racconto, un ritratto che trasmetta nuove possibilità di interpretazione. L’arte non può non prescindere, dunque, dall’azione politica e mostra i suoi “derivati” senza l’ausilio di filtri o interposizioni, presentando una condizione che appartiene ai nostri giorni e con la quale è necessario confrontarsi.

Il tema del sogno è l’elemento centrale nelle opere di Borrelli: i suoi dreamers sono gli uomini capaci di guardare ancora al futuro, spinti dalla forza di rimettersi in gioco, pronti a caricarsi il fardello di un marchio, di un’immagine stereotipata ormai quasi indelebile. “Appaiono imprevedibili - continua l’artista - sono differenti dalla maggior parte delle persone con cui abbiamo a che fare e di cui conosciamo i comportamenti. I migranti potrebbero mettere in discussione le cose cui siamo affezionati e trasformare i nostri modi di vita. Di loro conosciamo poco, dunque, non siamo in grado di comprendere le loro intenzioni e cosa faranno domani. Nei loro confronti coltiviamo la paura, un sentimento che cresce alimentato dal disagio che ci procura ciò che non controlliamo. Paralizzati come siamo da incertezze esistenziali, da una crescente precarizzazione e immersi in un clima di deregulation, i nuovi immigrati li percepiamo come oscuri ambasciatori di cattivi presagi”. La forza delle opere di Borrelli risiede esattamente in questo, nella capacità di sfruttare il potere dell’immagine convenzionale, standardizzata dei migranti, addirittura circoscrivendola in un perimetro facilmente decifrabile (la sagoma umana), restituendo al mittente quello “shock morale”, quella sensazione di allarme e d’angoscia che deriva dal mancato controllo, per dirla alla Bauman.

Stesi, ammucchiati, avvolti in logore coperte, i sognatori di Borrelli campeggiano in differenti scene, ambientazioni spesso animate e cariche di riferimenti, a tratti soffocanti, il cui senso di angustia sembra essere amplificato dallo spazio stesso concesso alla rappresentazione, dalla sagoma umana che funge da margine narrativo. Un espediente largamente consolidato nel lavoro di Borrelli ma che, in questo contesto specifico, si colora di nuovi contenuti acquisendo un valore spirituale, un’accezione protettiva, un’aurea nobile. Spiagge, muretti, campi, barche sono alcuni dei luoghi che ospitano, nell’immaginario collettivo, i “vaganti” sconosciuti: sono scenografie perlopiù note che l’artista ci restituisce quasi pre-confezionate, concedendosi pochi ma significativi dettagli allegorici. E così i piedi nudi e sovrapposti fanno capolino dal finto bavero di un cappotto artificiale o dalla base del collo nelle due differenti versioni di Dreamers 2015, a cui se ne aggiunge una terza, questa volta incentrata sulla serialità dei personaggi, sul ritmo serrato delle loro posizioni a comporre una lunga fila di corpi fiacchi che si abbandonano al sonno. Il cinismo di Borrelli deflagra, però, nel dittico Selbstvernichtung (2015) dove all’interno dell’ormai noto profilo, l’artista affianca scene di grande impatto emotivo, dalle teste decapitate che sovrastano l’immagine di John Cage e la moglie di Duchamp intenti a giocare una partita di scacchi, all’orecchio in primo piano letteralmente ricucito su di un cranio rattoppato. Emblema di questo racconto è la terza versione di Selbstvernichtung quella, per intenderci, in cui l’artista affida all’intero corpo umano il compito di contenere la sua narrazione iconica; la guerra irrompe nei contorni della vita degli uomini, ne governa gli sviluppi e li mostra – con frequenza incalzante –sui monitor dei televisori. Il sogno è in pericolo e Borrelli commissiona ad una anziana donna armata il compito di vegliare su esso (Guardiana del sogno, 2013). Ma ancor di più, è l’Occidente ad essere in pericolo, ad essere sprofondato nell’assoluta precarietà dell’esistere (Il futuro era una nave d’oro, 2015).

Dinanzi a questo scenario, che atterrisce e disorienta, l’artista sembra ritrovare un qualche bagliore di serenità, un rinnovato senso di fiducia che solo guardando al passato pare essere in grado di riemergere: è la sfera più intima dell’Io, quell’Orizzonte madre (2014) capace di guidarci e al quale, con immediata naturalezza, ci affidiamo. Borrelli invita alla leggerezza, quella dei sensi, quel sentimento che ci consente di “planare sulle cose dall’alto, senza avere macigni sul cuore” come amava dire Calvino. E così quegli uomini stanchi, quelle logore coperte, quei piedi nudi si vestono di rinnovata luce: sono delicati e inconsistenti, levitano perché, ora, sono Nuvola (2016).

In mostra è presente anche un’opera video realizzata da Paolo Borrelli e Fausto Colavecchia, prodotta da Limiti inchiusi arte contemporanea, dal titolo “Tito”. Il riferimento è evidente: l’opera rappresenta un omaggio al fondatore di Sala 1, Tito Amodei, che proprio in Molise – nel piccolo borgo di Colli al Volturno – ebbe i natali. Questa “comunanza” geografica si è fatta possibilità di dialogo, occasione di riflessione e racconto di una terra – il Molise – poco conosciuta e indagata, soprattutto da un punto di vista artistico. Il video ripercorre i luoghi d’origine del maestro Amodei accostati sapientemente, attraverso un “gioco” di sonorità e immagini, agli spazi attualmente vissuti dall’artista. E così al silenzio delle lande molisane si contrappone il brusio del suo studio romano, in un’alternanza tiepida e dolce che rivela un sincero legame d’affetto e stima.