Limiti Inchiusi - Comunità, ascolto, nomadismo, ricerca..

intervista a Paolo Borrelli di Tommaso Evangelista

ESPOARTE  #122 / anno XXIV n. 3 - 2023

 


Limiti Inchiusi / Intervista con Paolo Borrelli e Fausto Colavecchia    

"Nostra intenzione principale era quella di rendere possibile l’autodeterminazione delle politiche culturali sul territorio, opponendoci a una consuetudine di progettualità importate dall’esterno. In questo, credo, Limiti inchiusi ha raggiunto ampiamente il suo obiettivo."

Matteo Innocenti

ATP Diary / 6 ottobre, 2017

 

               Attiva da oltre un ventennio e con base in Molise l’associazione Limiti Inchiusi ha sviluppato una serie di progetti d’interrelazione tra le particolarità locali e le tendenze complessive dell’arte, con l’obiettivo di vitalizzare le pratiche culturali del territorio – sia nel verso di un accoglimento all’interno che di una diffusione all’esterno. Abbiamo cercato di ripercorrere le tappe di questa densa storia con gli artisti Paolo Borrelli e Fausto Colavecchia, nucleo ideativo e operativo dell’associazione nella sua forma attuale.

 

Matteo Innocenti: Partiamo dall’inizio. Come e con quali intenzioni ha avuto avvio Limiti Inchiusi?  

Paolo Borrelli: Il nome prende spunto dall’accostamento di due contrade “Limiti” e “Inchiusi” collocate nell’immediata cintura della periferia di Campobasso, collegate al centro urbano da un bus che abbiamo scelto come simbolo dell’associazione. Limiti inchiusi nasce in Molise nel 1994 con l’esigenza di stringere relazioni con altre realtà dell’arte contemporanea nazionali e internazionali.

In quegli anni, parlo dei primi Novanta, alcuni di noi avevano costanti rapporti con ambienti dell’arte al di fuori del territorio regionale, il che ci ha consentito di portare sul territorio molisano le nuove esperienze che all’epoca si andavano affermando e, soprattutto, di partecipare al dibattito che si era creato intorno ai nuovi indirizzi dell’arte contemporanea.

Siamo dunque partiti da un ambiente, quello locale, alquanto ostile, attardato su dinamiche che facevano ristagnare qualsiasi stimolo alla sprovincializzazione culturale. Nostra intenzione principale era quella di rendere possibile l’autodeterminazione delle politiche culturali sul territorio, opponendoci a una consuetudine di progettualità importate dall’esterno. In questo, credo, Limiti inchiusi ha raggiunto ampiamente il suo obiettivo.

 

MI: Parliamo di Fuoriluogo. Sono trascorsi venti anni dalla prima edizione. Un periodo considerevole, che immagino permetta uno sguardo retrospettivo…

PB: L’esperienza di Fuoriluogo ha inizio nel 1996, con una breve incubazione nella mostra You Get What You See che realizzammo nell’anno precedente, un evento itinerante che coinvolse spazi come il Palazzo Ràcani Arroni di Spoleto, la Galleria dè Serpenti di Roma e il Palazzo Falcione di Campobasso. Con Fuoriluogo alcuni artisti decidono di denunciare l’assenza endemica di spazi espositivi dedicati all’arte contemporanea nel capoluogo regionale. Il progetto, dunque, diventa in quegli anni uno strumento importante di denuncia per puntare i riflettori su spazi dismessi da recuperare e utilizzare come contenitori di eventi d’arte. Le mostre, infatti, sono state realizzate in capannoni industriali, chiese sconsacrate e palazzi in rovina o inutilizzati. Si è creato nel tempo un evento dal carattere sempre più internazionale, che ha consentito di intercettare e ospitare i linguaggi dell’arte più attuali attraverso le nostre proposte al pubblico.

Fausto Colavecchia: Le mostre della seconda metà degli anni Novanta sono state sicuramente una scossa rigeneratrice e di crescita per il clima culturale della regione; nel corso del tempo abbiamo dedicato una particolare cura negli allestimenti e nella grafica delle pubblicazioni editate dalle Edizioni Limiti inchiusi.

Numerosi artisti sono stati presenti alle edizioni annuali, tra gli altri: Douglas Gordon nel 2010 con l’opera 24 Hours Psycho concessa per l’occasione dalle National Galleries of Scotland; Cesare Pietroiusti ed Emilio Fantin nel 2009 hanno partecipato a Fuoriluogo 14 – Interrelazionale conducendo in coppia un workshop aperto a tutti; sono state esposte opere di Jenny Watson, Heidi Mcfall, Gino Marotta, Titina Maselli, Mario Sasso, Bertina Lopes, Ascanio Renda, Stefano Cagol, Francesca Grilli, Pablo Echaurren, Federico Solmi, Floria Sigismondi e molti ancora, tra i quali noi stessi. In alcuni casi ci si è concentrati sull’arte di una particolare scena nazionale o sovranazionale, per esempio l’arte inglese in collaborazione con la British School di Roma, l’africana con la partecipazione del Centro Internazionale d’Arte Contemporanea Sala 1 di Roma, la scozzese insieme a Cultural Documents di Edimburgh. Inoltre ben due edizioni sono state rivolte alle proposte di giovani artisti molisani: nel 1998 Fuoriluogo 3 e nel 2008 Fuoriluogo 13.

 

MI: In che maniera avete strutturato le mostre di Fuoriluogo: ogni edizione ha avuto la sua diversità, in autonomia, o c’è stato il mantenimento di una costante?

PB: Essendo pensata e realizzata da artisti, Fuoriluogo ha conservato negli anni il carattere della sperimentazione continua, rinnovando a ogni edizione la sua formula, intercettando quelle che a nostro avviso erano al momento le esperienze più innovative del panorama dell’arte contemporanea. La mostra è stata anche un laboratorio permanente sulle politiche culturali, il termometro di una situazione in divenire che ha permesso a molti di noi di ampliare le proprie relazioni professionali e mettere in connessione la marginalità del centro sud con il resto del territorio nazionale. Abbiamo invitato diversi critici e curatori a collaborare alla progettazione di mostre, sempre e comunque individuando e discutendo insieme le tematiche da sviluppare.

 

MI: Riconosco che è un compito arduo, però vorrei che rendessimo un’idea concreta di Fuoriluogo. Mi piacerebbe che ognuno di voi scegliesse e raccontasse in sintesi un’edizione particolare.

FC: Compito difficile! Una delle mostre che mi piace raccontare perché credo che rappresenti molto bene il progetto di politica culturale sul territorio iniziato con Fuoriluogo, è Aperto Molise del 2008. Questa edizione nacque con l’intenzione di presentare giovani artisti la cui età fosse compresa tra i 18 e i 40 anni e che vivessero o lavorassero in Molise. Le due curatrici della mostra, Gaia Cianfanelli e Caterina Iaquinta, attraverso un bando indetto dalla nostra associazione, scelsero 16 artisti. La presentazione delle opere, in base alla diversità dei linguaggi impiegati, avvenne in due appuntamenti consequenziali. Un aspetto interessante è che avviammo, in occasione di entrambe le mostre, un tavolo di discussione sulle arti tra regioni limitrofe e, come primo step, fu presentato uno scambio tra il Molise e l’Abruzzo. Inoltre venne allestito un “tavolo virtuale” su cui figuravano vari tipi di contributi artistici di ben 17 soggetti culturali emergenti del centro sud (provenienti da un progetto più ampio su cui le due curatrici stavano lavorando). Credo che quella edizione sia stata caratterizzata anche da una nota politica e sociale, uno stimolo per una successiva e feconda riflessione da parte delle istituzioni pubbliche.

PB: Sono tante le mostre che potrei citare, una tra tutte il Fuoriluogo 15 dal titolo Una Regressione Motivata, curata dalla cara amica Deirdre Mackenna al tempo direttrice di Stills: Scotland’s Centre for Photography of Edimburgh. In quell’occasione la curatrice volle condividere con noi uno sguardo internazionale sul Molise, infatti la mostra fu dedicata all’arte contemporanea scozzese. I temi affrontati, il tempo e la lentezza, s’ispiravano agli scrittori Giose Rimanelli e Don De Lillo, entrambi di origine molisana ma ognuno con una propria e distinta esperienza di iniziazione alla vita e una diversa relazione con il ventesimo secolo. Ne risultò un progetto singolare che aveva nella diaspora regionale la sua base concettuale.

 

MI: Il progetto di residenza artistica: Vis à Vis, a cui ho avuto il piacere di collaborare. So che, in certo modo, si è trattato di un esperimento in “presa diretta”, da modulare in base alle difficoltà e alle possibilità di volta in volta incontrate. Vorrei che mi descriveste questa esperienza, nel suo complesso.

PB: Per parlare del progetto Vis à Vis Fuoriluogo, e far comprendere la scelta del nuovo indirizzo di Limiti inchiusi devo partire dalla lunga esperienza di mostre realizzate nella galleria omonima di via Muricchio nel capoluogo molisano.

Dall’esperienza di Fuoriluogo nasce dunque nel 2002, a Campobasso, la Galleria Limiti inchiusi arte contemporanea, uno spazio, anche questo, gestito da artisti, che ha creato fin dall’inizio collegamenti con altre realtà simili. Per dodici lunghi anni la galleria mise in scena una programmazione di eventi in sintonia con quello che succedeva a livello globale ma con un’attenzione costante agli artisti emergenti del territorio. Molti giovani artisti, infatti, trovarono nella galleria la possibilità di realizzare i primi progetti espositivi e di fare esperienze nazionali.

Da questa esperienza, giunta ormai all’esaurimento, nel 2012 nacque il progetto di residenza per artisti Vis à Vis Fuoriluogo. La proposta assunse concettualmente un modello esattamente rovesciato, non più, dunque, uno spazio da gestire, non più white cube, ma riportare gli artisti al contatto diretto, vis à vis appunto, con le persone delle comunità dei piccoli paesi decentrati e marginali del territorio regionale. Siamo stati forse i primi a immaginare una residenza d’artista senza una sede, senza un luogo fisso dove invitare gli artisti a stare, abbiamo scelto l’intero Molise come luogo fisico, spazio diffuso, come territorio da indagare.

FC: Fin dall’inizio, dalla prima edizione di residenze del 2012, collabora con noi Silvia Valente, una curatrice indipendente che vive in Molise. Insieme abbiamo fatto in modo che numerosi artisti italiani e internazionali lavorassero in luoghi sempre diversi e che venissero accolti dalle comunità locali (tra cui: Montemitro, Acquaviva Collecroce, Limosano, Castelbottaccio, San Giuliano del Sannio, Oratino, Mafalda e nella prima edizione anche i comuni abruzzesi di Guilmi e Carpineto Sinello). Abbiamo lavorato sodo con le amministrazioni comunali e con il supporto della Regione Molise. Oggi tutti questi centri hanno come proprietà permanente le opere degli artisti ospitati. Si è così concretizzata una vera e propria “mappa” dei paesi e delle opere d’arte in essi custodite, lavori che parlano delle persone e dei luoghi a loro cari, della storia e delle tradizioni.

PB: Vis à Vis Fuoriluogo per noi è un progetto politico, che ha unito insieme le istanze di denuncia di Fuoriluogo e la nuova proposta per un’autentica vicinanza dell’arte alle persone e ai territori. Un piano di lavoro lontano dagli interessi speculativi e dalle grandi manifestazioni del mondo dell’arte. Insomma un progetto che si riappropria di una sensibilità intima, autenticamente rivolta alle comunità e ai luoghi in cui esse vivono, i quali vengono raccontati con lo sguardo trasversale e mai scontato degli artisti selezionati. 

 

MI: L’associazione è stata ed è tuttora formata da artisti, pur con dei cambiamenti poiché oggi siete in due, non avete più uno spazio espositivo e la vostra attività si svolge in maniera diffusa sul territorio. Pensate che questo abbia caratterizzato l’insieme di attività portate avanti nel tempo (anche in relazione alla vostra personale ricerca)?

FC: La scelta di formare un’associazione con la quale avviare processi collaborativi che mirassero al raggiungimento di obiettivi comuni ha stimolato profondamente in molti di noi il desiderio di mettersi in discussione, di scommettere su sé stessi e sulla propria ricerca e di gettare ponti verso l’esterno. Credo che tutto questo abbia sicuramente contribuito a caratterizzare le nostre attività che, a tutt’oggi, anche se le cose sono cambiate, continuano a essere prodotte con lo stesso spirito.

PB: È indubbio che il diverso approccio all’arte di ciascuno di noi abbia influenzato in qualche modo le scelte e le attività intraprese dall’associazione, in ogni caso, essendo quest’ultima composta di personalità molto diverse tra loro è anche vero che gli indirizzi per la programmazione sono stati il risultato di un continuo dibattito che ci ha consentito di avere una visione molto ampia dei linguaggi e delle ricerche da individuare. Per quanto riguarda invece la ricerca individuale credo che ciascuno abbia continuato la propria strada con la fortuna di arricchire il proprio lavoro di nuovi e continui stimoli.

 

MI: Quali sono le particolarità che possono distinguere Vis à Vis in una “cartografia” di residenze sparse su tutto il territorio nazionale?

PB: Come già accennato in precedenza, la disposizione verso un nuovo progetto di politiche culturali che partono dal basso ci ha consentito di accorciare notevolmente la distanza che l’arte, nel tempo, ha accresciuto intorno a sé. I lavori degli artisti non potrebbero esistere senza il contributo fondamentale delle comunità che li accolgono. Le persone coinvolte dal progetto partecipano attivamente al racconto e spesso ne indirizzano le scelte, l’artista diventa in questo modo il demiurgo che raccoglie e traduce in opera d’arte condivisa le urgenze delle persone. Moltiplicare questo per un territorio più vasto ci fa pensare a una comunità estesa che getta le basi di un nuovo modo di costruire relazioni tra gli individui. Ora, io non so se esistono altre esperienze che seguono esattamente questa strada, ma posso dire che dal 2012 questo è l’unico modo che ci permette di arrivare a dei risultati soddisfacenti – nonostante le difficoltà sempre presenti. Per noi, ad ogni modo, pur essendo importante l’obiettivo dell’opera realizzata e che resta di proprietà dei comuni ospitanti, è di fondamentale rilevanza il percorso effettuato per arrivare all’opera stessa, che è poi l’unico, tra gli elementi a disposizione, in grado di costruire condivisione.

FC: Vorrei aggiungere: una delle cose che ci fa alquanto piacere è che alcuni artisti, avendo stabilito un forte legame con il luogo di residenza e con noi, tornano a trovarci e in molti casi si è stabilito con loro un rapporto di collaborazione che ha originato ulteriori eventi e progetti comuni.

 

MI: Abbiamo collaborato anche per un altro progetto di residenza, Flâneur, che pur mantenendo una simile impostazione ha alcuni elementi di differenza…

FC: Vis à Vis Flâneur è un progetto parallelo che si muove con le medesime intenzioni di Vis à Vis Fuoriluogo ma aggiunge un ulteriore elemento che ne modifica parzialmente il carattere e lo scopo. Essendo realizzato in condivisone con la Fondazione Molise Cultura, che ha sede nel centro di Campobasso, il progetto invita l’artista residente a considerare non un singolo centro ma l’intero territorio regionale.

PB: Questo fa si che i lavori realizzati siano il prodotto di una ricerca che contempla il Molise nel suo insieme, e che le opere restino allestite negli spazi della Fondazione per la costruzione di una collezione permanente. La prima edizione curata da te e da Silvia Valente ha visto la partecipazione dell’artista giapponese Satoshi Hirose, il quale ha messo in relazione il territorio, il paesaggio e i tanti piccoli, medi e grandi paesi del Molise con l’immagine affascinante di un arcipelago fatto di differenze ma anche di molte similitudini. La sua istallazione permanente in acciaio inox di grandi dimensioni è oggi visitabile all’interno della struttura della Fondazione Molise Cultura.

 

MI: Un’ultima domanda. Ci sono altri progetti in preparazione per l’immediato futuro?

FC: Ci fa molto piacere annunciare che sul finire del 2016 l’amministrazione comunale di Mafalda, un piccolo borgo in provincia di Campobasso che conta poco più di mille abitanti, ci ha chiesto di riflettere insieme su un progetto che avesse al centro l’arte. Noi, inizialmente sorpresi dalla richiesta proveniente da un piccolo comune, abbiamo proposto in collaborazione con l’artista Cosetta Mastragostino, originaria del paese e che oggi vive a Roma, l’istituzione di un Museo d’Arte Contemporanea. Nasce così agli inizi del 2017, con deliberazione ufficiale il MuMa contemporary, che ci auguriamo inizi la sua attività già nei prossimi mesi. Sarà un progetto in progress, che ospiterà residenze d’artista (quella di quest’anno effettuata da Simona Paladino è stata la prima edizione), nonché laboratori e altre attività: l’arte contemporanea da condividere con il territorio e con realtà nazionali e internazionali.

 

PB: Un piccolo segnale che ha come obiettivo il sogno dell’utopia che oggi, a nostro avviso, solo i territori e le comunità marginali possono far rivivere.

   


L’intervista

Paolo Borrelli e lo stato di salute dell’arte contemporanea nel Molise

Maurizio Oriunno

Molisedoc.it - 23 aprile 2016

 

Paolo Borrelli è parte dell’anima del progetto Limiti inchiusi a Campobasso. Sodalizio culturale proveniente da esperienze artistiche diverse, nel 1994 ha posto le sue basi comuni e negli anni ha creato, progettato e divulgato opere, correnti, avanguardie dell’arte contemporanea nel Molise. Mostre, interventi, residenze artistiche hanno caratterizzato l’azione dell’associazione che dal 2002 al 2013 ha gestito la Galleria nell’ex Onmi. Tra qualche giorno l’inizio della nuova esperienza con la residenza dell’artista giapponese Satoshi Hirose a Campobasso. Avviciniamo Paolo Borrelli in vista della sua mostra a Roma “Dreamers” (curata da Silvia Valente), in programma dal 21 maggio nel Centro Internazionale d’Arte contemporanea - Sala 1 - in Piazza di Porta San Giovanni.

 

Maurizio Oriunno: Un momento dinamico per l’arte nel Molise. Le residenze d’artista di Limiti inchiusi, le mostre come quella di Scarano a Campobasso nel Castello Pandone di Venafro, il premio Pace a Termoli, il museo all’aperto di Casacalenda, l’esperienza di Casalciprano e quella di street art di Civitacampomarano. A Paolo Borrelli chiediamo lo stato di salute dell’arte contemporanea in Molise.

Paolo Borrelli: “Potrei risponderti scherzando “stiamo tutti bene, grazie!”. In Molise l’arte contemporanea si può ancora considerare “fuoriluogo”, esattamente come dichiarammo pubblicamente, in pochi, nel 1996. E non perché non succedano delle cose, non si organizzino mostre ecc…, semplicemente perché non è mai nato un minimo di sistema dell’arte. Quel sistema che comprende, oltre agli artisti, musei, galleristi, collezionisti, giornalisti dell’arte e critici professionisti. Un sistema, insomma, che quando attecchisce genera forti dinamiche di contrapposizioni e sacrosante prese di distanza dal “Sistema” dominante.. Viviamo un mondo a parte, insomma, un eterno limbo.” 

M. O.: Eppure guardandosi in giro tutto farebbe pensare ad un Molise che in questi anni ha guardato all'arte contemporanea. Cosa manca per evidenziare e manifestare un percorso dentro il territorio, quel sistema di cui tu parli?

P. B.: “Gli eventi esistono, alcuni anche di buona qualità, ma se guardi attentamente l’insieme ti accorgi che non resta la cosa più importante, un minimo di economia che faccia vivere gli artisti e chi si occupa con professionalità del settore. Il novanta per cento degli attori di questo ambiente è costretto, quando gli va bene, a fare un altro mestiere. Quello che voglio dire è che la qualità degli eventi non è valutabile solo dal punto di vista del numero delle mostre, ma anche dalla ricaduta economica che queste producono sulle persone che vi si dedicano. Se d’un tratto togli tutte le sovvenzioni pubbliche alle associazioni o ai piccoli Enti, alle volte anche ai singoli artisti, rimane il deserto o quasi. Se vuoi parliamo anche dei vari eventi e delle mostre di qualità che hai citato e che continueranno, spero, a essere sempre più attente al contemporaneo, mi preme però, prima, suggerire una riflessione su quello che tutti i giorni vivono gli addetti ai lavori e sulle potenzialità che restano inespresse. Insomma, manca una struttura economica su cui si regga tutto questo “movimento”, non può essere tutto, sempre, finanziato dal pubblico. La cosa più inquietante è che all’orizzonte, vuoi anche per le attuali drammatiche condizioni economiche in cui versa l’Italia e a maggior ragione il Molise, non c’è traccia di investimenti privati in questo settore. Attenzione, però, questa non è una cosa che accade solo da qualche anno a causa della crisi. In Molise è sempre stato così.” 

M. O.: “Molise museo diffuso” è una vecchia idea sempre valida. Come veicolare visitatori e competenze in grado di riconoscere i segni dell'arte nella regione, vecchi e nuovi, per tentare di concederle una visione attraente?

P. B.: “Il Museo diffuso è una buona idea, è anche uno dei motivi alla base della scelta fatta dall’associazione Limiti inchiusi, ormai cinque anni fa, quello di investire sulle residenze d’artista. Residenze realizzate nei piccoli borghi del Molise, dove l’artista selezionato è invitato a realizzare un lavoro che si occupi del contesto territoriale, delle piccole comunità e ne metta in luce tutti gli aspetti interessanti. Un modo di operare in sintonia con quello che sostenevo prima: far lavorare gli artisti commissionandogli le opere; promuovere la collaborazione con le preziose realtà artigianali dei luoghi; coinvolgere le comunità nell’ideazione del progetto e realizzare, in fine, una rete di opere permanenti visitabili. Opere che, utilizzando il linguaggio dell’arte contemporanea, s'inseriscano direttamente nel dibattito nazionale più attuale. Tutto questo, credo, può essere attraente per chi ci osserva dall’esterno. Valorizzare i nostri territori utilizzando l’arte contemporanea e la bellezza naturale del paesaggio può essere una grande risorsa che si può ottenere a costi davvero bassi. Proprio per questo abbiamo pensato anche ad una residenza d’artista presso la Fondazione Molise Cultura, non a caso intitolata Flâneur, dove l’artista giapponese Satoschi Hirose dovrà realizzare un lavoro che si confronti con l’intero territorio regionale. Un modo, a nostro avviso efficace, per proiettare un’immagine nuova del Molise all’esterno. Un altro esempio che lavora in questa direzione, anche se con modalità differenti, è il Museo all’Aperto di Kalenarte a Casacalenda.” 

M. O.: Paolo, secondo te come si pone l'esperienza artistica maturata e mutuata dai murales che erano vere e proprie identità politiche negli anni settanta, ricordo il primo grande murales di Via Pascoli a Campobasso), agli interventi di arte contemporanea diffusi tra ottanta e novanta, fino alle esperienza di street art di questi ultimi anni?

P. B.: “Un muro che dipingemmo in un luogo periferico degli inizi degli anni Ottanta, on colori acrilici e pennelli. Un lavoro di denuncia, faticoso ma esaltante. Sono molto affezionato alla pratica dei vecchi murales urbani essendo stato uno dei primi a realizzarne a Campobasso e in qualche paese circostante. Oggi la pratica della Street Art assume una valenza diffusa, perlopiù accettata quasi da tutti e trova senso compiuto nelle periferie urbane che hanno bisogno di recupero dal punto di vista urbanistico. Campobasso, in questi ultimi anni, sta vivendo una stagione di grande diffusione di questo mezzo espressivo, grazie ad una splendida associazione che ne ha diffuso la pratica a ottimi livelli. Il problema sorge quando l’arte perde quella connotazione di pungolo, di momento di riflessione, e si adagia sul compiacimento del gesto. Alcuni lavori che vediamo in giro sono molto interessanti e riusciti anche dal punto di vista critico nei confronti delle contraddizioni che presenta il capoluogo molisano. Ma, anche molti di quelli che incontriamo nelle grandi città, come spesso succede, sono prodotti di autocompiacimento che rischiano l’autoreferenzialità. Il gigantismo a tutti i costi, poi, in arte, mi ha sempre insospettito. Non possiamo tacere, inoltre, il livello di barbarie che si è raggiunto con gli innumerevoli improvvisatori, gli street artist del week end campobassano, che in ogni angolo e centimetro di muro hanno lasciato la loro traccia senza senso, segni inutili anche su pietre lavorate, che come sai sono la nostra migliore tradizione. Insomma, non è sufficiente una buona idea, c’è bisogno di studio, di lavoro serio e di capacità di discernimento.”


Paolo Borrelli - Egemonia della lotta in ARATRO

 

Unimol – 6 Marzo / 6 Aprile 2014

Alessandra Carafa

pinkpinkpanda.com

http://pinkpinkpanda.com/2014/03/08/paolo-borrelli-egemonia-della-lotta-in-aratro-unimol-6-marzo-6-aprile-2014/

Posted on 8 March 2014

 

L’inaugurazione è avvenuta il 6 marzo, attirando numerosi studenti che si aggiravano per i corridoi, qualcuno lo sapeva, qualcuno è passato di lì per caso per poi sentirsi trascinare dentro a questo allestimento straordinario. A primo impatto, sembra che siano le opere ad osservare te. Ci si sente improvvisamente protagonisti dei propri pensieri. L’allestimento, curato da Lorenzo Canova e Piernicola Maria Di Iorio, si svolge all’interno dell’Università del Molise, nel Centro di arte contemporanea, l’ARATRO, uno spazio dedicato appunto a mostre contemporanee di ogni genere. Le opere sono disposte in maniera discreta ma presente, dove regna il silenzio della riflessione e nello stesso tempo tutto urla contemporaneità. Non è solo una mostra, non sono solo pezzi da ammirare, è lotta, rinnovamento, società, poesia. Tutto ciò concentrato in una stanza. Ho intervistato Paolo Borrelli per aprire una finestra sul suo mondo. Mi dice subito di dargli del tu, e mi mette a mio agio, nonostante l’intervistato sia lui. Cominciamo a camminare tra le sue opere…

Come nasce la tua arte?

“Parto da un tipo di ricerca ultima, la ricerca delle immagini. Le scopro, le incontro casualmente, le ricerco. Sono sempre attento, faccio indagini su riviste d’epoca, specializzate o anche riviste banali, su tutto ciò che mi colpisce, poi prendo e conservo, ho fascicoli enormi da parte, poi quando mi metto davanti al pezzo che voglio fare, a volte ho una mezza idea altre volte no, parto con l’accostamento delle immagini. Queste devono avere qualcosa di distante, devono entrare in collisione, creare un corto circuito. Il titolo non spiega il quadro -come dice Magritte – ma nemmeno il quadro spiega il titolo. L’insieme fa scaturire una rivelazione, mette in sintonia a prescindere dal contenuto che voglio dare io. Le elaboro pittoricamente, assolutamente non utilizzo computer, questi lavori nascono da ritagli, fotocopie, collage e in più c’è sempre la mano pittorica. Questo è il procedimento che mi diverte di più’ e mi avvicina di più’ all’arte, anche perché non so se ciò che faccio è arte, ma il fatto è che non posso fare a meno di farlo, mi sono “ammalato” tanti anni fa. Questo è un percorso che a volte ti strema se lo fai sul serio, se ne senti la responsabilità, allora forse si avvicina all’arte, poi con tutto quello che abbiamo alle spalle bisogna essere proprio presuntuosi per pensare di fare arte oggi, con un patrimonio così che ti sovrasta, soprattutto in Italia.”

”Ho trovato questa immagine di una anziana donna armena, che non ha nulla a che vedere con la piazza retrostante, la sentivo come una responsabilità e non volevo banalizzarla, quindi le ho dato una dimensione diversa. Decontestualizzata, come un ready made, a difesa di un sogno.“

Da un ambiente così piccolo come il Molise come se ne esce, come si emerge?

Stando a contatto con quello che c’è fuori, anche perché adesso basta accendere il computer e puoi essere dove vuoi, quindi osservare, studiare. Un artista, secondo me, non può’ essere ignorante. Deve riuscire a rinnovarsi e a mettersi in discussione. Molte di queste immagini hanno rapporti col cinema con la poesia, col teatro ma soprattutto con la letteratura. I miei lavori di 20 o 10 anni fa non somigliano minimamente a questi recenti, certo si sbaglia, si cambia direzione. La ricerca è questo, è mettersi in discussione, sempre.

L’ispirazione si cerca o ti trova?

Sono più le immagini che trovano me, non io che trovo loro. 'Questo è un lavoro nuovo “piattaforma”, ogni volta che lo si sposta cambia sempre, quando si riflette solo il muro o l’etichetta o il riflesso di te stesso, ogni volta mi piace di più.

Hai una direzione per i lavori futuri?

No quasi mai, deve succedere qualcosa, devo cercare, scavare. A volte prendo le immagini e comincio a muoverle sulle tavole (queste non sono tele, il supporto rigido mi piace di più) quindi cambio, muovo e vedo cosa mi dà. Sono passato da un periodo dove usavo molto il nero a uno pieno di tanti colori per poi di colpo azzerare tutto, ed è assurdo ma quando i miei quadri cominciano a piacere io cambio direzione, questo è esattamente uno di quei momenti.

'Sul concetto della lotta, questo sembra il più distante, ma in realtà è centrale, qui c’è la follia e la pigrizia insieme. Un muro si sta sgretolando allo studio, ogni volta che vado c’è questa presenza e devo pulire i calcinacci, quindi c’è più da stare attenti che altro, però mi accorgevo ogni volta che non riuscivo a buttarli, questo per tre o quattro anni , alla fine ho pensato che era più importante averli conservati, coesisteva una sorta di lotta tra poesia e razionalità. Ha vinto la poesia.'


Intervista in occasione della mostra Il Tempo inferiore

2006

Marinella Ciamarra

Il Bene Comune, 2006

 

Marinella Ciamarra: Nella tua ultima mostra: “Il Tempo Inferiore”, in esposizione fino al 21 maggio scorso alla Galleria “Limiti Inchiusi” di Campobasso, si ritrovano un po’ tutte le icone ricorrenti nella tua opera: le lettere e i numeri, il tuffatore (senza e con ali), la bambina con il palloncino...Come nasce questa mostra, si pone forse come una tappa di riflessione, ripercorrendo il tuo cammino personale e spirituale? 

Paolo Borrelli: Questa mostra nasce dalla maturazione di nuovi concetti su cui ho lavorato in questi ultimi anni, nuovi lavori nei quali ho sperimentato l’utilizzo di materiali come il ferro e l’alluminio, assemblati o elaborati come monocromi, oltre alla pittura su tavola che non ho mai abbandonato. Con questi elementi, considerati solitamente “pesanti”, ho provato a rappresentare la sospensione e la leggerezza dei pensieri. L’idea sottostante a tutto il percorso recente e quindi ai lavori che compongono questa mostra, comunque, è la volontà di riflettere, in modo semplice ma anche con la massima coerenza, sul ruolo dell’artista e su quello più specifico dell’opera d’arte nella contemporaneità. Un processo che parte sicuramente dall’esperienza personale e spesso intima ma che approda immancabilmente nel confronto con i conflitti e i drammi contemporanei. 

M. C.: Parliamo, in particolare, di una delle icone di cui dicevamo, che colpisce molto: il tuffatore. È corretto pensare che tale figura richiami il vuoto? O meglio, il sentimento del vuoto?

P. B. E’ esattamente quello che rappresenta. Il vuoto. La sospensione, la consapevolezza di non essere ancorati a nulla, tanto meno alle certezze. Tutto questo, però, non è da intendersi esclusivamente in modo drammatico, che è forse solamente una delle possibili chiavi di lettura, va piuttosto compreso soprattutto nella condizione più profonda ed intima della “sospensione”, nel piacere profondo e quasi fisico di essere coinvolti in un “altro” tipo di volo. Dove il protagonista, con noi, è il vuoto inteso nella sua immanenza, dove ogni variazione è possibile solamente attraverso impercettibili sfumature. 

M. C.: Il fatto che il tuo tuffatore, rispetto a prima, abbia le ali, potrebbe significare una tua tensione verso una maggiore “leggerezza”, o verso un rinnovato ottimismo sul destino di chi riesce, ora, a direzionare il suo precipitare verso l’abisso, in una sorta di maggiore consapevolezza del proprio destino? 

P. B.: Non sono mai stato molto incline alla leggerezza, però con gli anni ho compreso che forse è utile stabilire con essa un rapporto filtrato dall’ironia, e quando è possibile con l’auto ironia, aiuta soprattutto ad osservarsi in modo critico ed allo stesso tempo distaccato. 

Le ali, invece, nei miei quadri, non hanno alcun rapporto con l’ottimismo o la leggerezza, sono un mezzo come altri per tentare di gestire la consapevolezza della propria irreversibile caduta. Potrebbero anche essere lette come elemento complice del vuoto, capace di inserire quelle minime variazioni nella condizione di sospensione di cui parlavo prima. Variazioni del “volo”, insomma, piuttosto che orientamento nella caduta. 

M. C.: Che cos’è il “tempo inferiore” che dà il titolo alla mostra? 

P. B.: Ho scelto per questa mostra un titolo che desse la possibilità al visitatore di orientarsi all’interno di un proprio codice linguistico, qualunque esso fosse, tentando di suggerire la presenza dell’ambiguità e del dubbio prima che di un codice di lettura univoco. Questo mi interessa più di ogni altra cosa, perché i miei lavori sono miei solo fino a quando li ho terminati, poi, ho sempre pensato che abbiano una vita propria. 

Il tempo inferiore, in definitiva, è il luogo dove ciascuno di noi riesce a “sentire” il proprio vivere, è la cartina tornasole sulla quale vengono filtrate tutte le pratiche conflittuali ed emozionali che ci coinvolgono. E’ il luogo della consapevolezza, dell’essere protagonisti di una vita parallela e che ha strette relazioni con il “tempo condiviso”, il tempo che viviamo con gli altri. E’ il “reale” nel senso più intimo, “è questo tempo, questo particolare momento”, opposto al tempo della comunicazione che rischia di essere sempre più totalizzante. Il tempo inferiore è il nostro osservarci vivere. 

M. C.: È dunque connesso al tema della tua precedente mostra “Invasori invasi”? 

P. B.: E’ certamente una costola delle riflessioni che hanno prodotto i lavori che ho realizzato, e che sono compresi in questa mostra, per l’esposizione “Invasori invasi” nella Galleria AOCF 58 di Roma., la doppia personale che ho effettuato a marzo di quest’anno assieme a Gentile Lorusso, così come di “Intime barbarie” del maggio 2005 presso la BencivArt Gallery di Pesaro. Queste rappresentavano “in progress” due tentativi di cruda riflessione sulle dinamiche della globalizzazione. Un ragionare per immagini sul dato di fatto che ci vuole individui appartenenti ad una civiltà di “invasori”, ma che nell’intimo si sentono anch’essi “invasi”, da scelte compiute da altri. 

Lorenzo Canova nell’ultima presentazione di Roma parla di <<“ribaltamento” che vede spesso le culture dei paesi invasori completamente stravolte e mutate dal contatto con le culture “invase” e sottolineava un sentimento personale di lenta implosione.>> Mentre Maria Cristina Bastante, sulle pagine di questa rivista nel recensire la stessa mostra parla del dubbio che invaso ed invasore coincidano, come due facce della stessa medaglia. Entrambi colgono il nocciolo della riflessione, io aggiungerei ancora che noi occidentali, oggi, siamo completamente succubi di strategie economico-politiche di un imperialismo che non ha più bisogno di consensi. 

M. C.: Tu stesso mi dicevi come alcune delle tue icone, il tuffatore, ma anche la bambina che “non teme il vento e la vertigine”, avessero anticipato, in tempi non sospetti, fenomeni tragici della nostra contemporaneità, come l’11 settembre o il terremoto di San Giuliano. Credi che un artista, proprio in quanto tale, e intriso dello spirito del suo tempo, abbia la capacità di pre-vedere e percepire eventi? A cosa è dovuta questa capacità? 

P. B.: Ovviamente nessuno prevede il futuro, tanto meno l’artista gioca con il proprio ruolo. Ti parlavo, piuttosto, del fatto che qualcuno mi faceva notare, a posteriori, come alcune delle immagini che utilizzavo da anni fossero state quasi “premonitorie” per gli eventi successivi. 

Il tuffatore di vuoto viene così ricondotto alle persone che si lanciano dalle torri gemelle, e la sagoma inquietante della bambina con il palloncino, interpretata come simbolo dei bambini morti sotto le macerie del terremoto di San Giuliano. 

Ma se una lettura di queste coincidenze si vuol dare, invece, penso che possa essere ricondotta alla dimostrazione di come l’arte sia capace, attraverso il proprio bagaglio iconografico, che non può essere avulso dalle tensioni che attraversano il proprio tempo, di produrre segnali chiari che consentano di leggere a fondo e con maggiore chiarezza il tempo che viviamo, interpretandolo con la capacità visionaria che l’ha sempre contraddistinta. 

M. C.: Quali sono i tuoi prossimi progetti? 

P. B.: Finalmente, dopo oltre cinque anni di lungaggini burocratiche, potrò installare la scultura che ho ultimato in novembre per il comune di Campobasso. E’ una grande scultura in acciaio ed alluminio che sarà posizionata nel quartiere San Giovanni dei Gelsi e che ha per titolo “Vuoto immanente - Moneta unica”. Un altro obiettivo che mi vede impegnato ormai da oltre un decennio, è quello di continuare a stimolare, spesso anche in modo fastidioso, il dibattito sulla realizzazione di un Museo d’Arte Contemporanea a Campobasso presso gli organi di governo molisani.